Edvard Munch: L’Urlo dell’Anima

Un’esposizione che esplora le emozioni più profonde dell’essere umano

Tutti conoscono l’Urlo, ormai anche sui nostri telefoni tramite la celebre emoticon. Immagine iconica dell’angoscia esistenziale dell’uomo moderno. Ma Edvard Munch è molto più del suo capolavoro più noto. La mostra a lui dedicata “Edvard Munch. Il grido interiore”, a Roma a Pallazzo Bonaparte dall’11 febbraio al 2 giugno 2025, restituisce tutta la complessità di un artista che ha trasformato la pittura in una finestra sull’interiorità, sul mistero dell’esistenza, sull’angoscia e sulle emozioni umane.

L’emozione oltre la realtà
Munch, precursore dell’Espressionismo, ha creato opere che vanno oltre la semplice osservazione della realtà, cercando di rendere visibili le emozioni invisibili e i conflitti interiori: paura, desiderio, solitudine, passione.
Nato in Norvegia nel 1863, segnato fin dall’infanzia da una lunga serie di lutti familiari, Munch ha elaborato il dolore personale attraverso la pittura.
La mostra si apre con la sezione Allenare l’occhio, che racconta come, fin dai suoi primi dipinti, Munch si sia allontanato dalla semplice rappresentazione della realtà oggettiva per affidarsi all’esperienza interiore, all’emozione e al ricordo. L’artista norvegese ha sempre affermato che non dipingeva ciò che vedeva, ma ciò che sentiva, concentrandosi su immagini, suoni, colori e vibrazioni percepibili nell’aria.
In mostra: Autoritratto (1881-82); Karen Bjølstad sulla sedia a dondolo (1883), raffigurante la zia; i ritratti della sorella Laura, tra cui anche Malinconia (1900-1901), in cui è raffigurata seduta nella stanza dell’ospedale psichiatrico in cui era ricoverata, sola con uno sguardo perso e cupo; e la serie del Circolo bohémien di Kristiania, circolo di intellettuali che l’artista frequentava.

L’intensità dei legami umani
Nella sezione Quando i corpi si incontrano e si separano emerge la dimensione più carnale della produzione di Munch.
A metà degli anni ‘90 dell’Ottocento, l’artista sviluppa una serie di opere sul desiderio, la passione e la desolazione, raccolte sotto il titolo Amore, poi Il Fregio della vita, simboli del ciclo esistenziale della vita umana.
In mostra opere emblematiche come il Bacio vicino alla finestra (1891), Coppie che si baciano nel parco (fregio di Linde), 1904, Due esseri umani. I Solitari (1899), Gelosia (1907) e Madonna (1895) mostrano quanto l’artista abbia saputo cogliere drammaticità dei legami tra uomo e donna. In foto, Il Bacio (1897), in cui due amanti si abbracciano e baciano, fondendosi tra loro e perdendo completamente l’identità.

Tra lutto e bellezza: i fantasmi di Munch e la scoperta dell’Italia
Il tema del lutto domina nella sezione Fantasmi, dove si esplora l’impatto devastante che la tubercolosi e la perdita dei suoi cari hanno avuto sull’immaginario di Munch.
La malattia e la morte lo accompagnano sin da bambino: dalla perdita della madre a soli cinque anni e della sorella maggiore pochi anni dopo, fino alla scomparsa del padre e del fratello, la sua vita è un continuo confronto con l’assenza. A partire da La bambina malata (1894), Munch trasforma i suoi ricordi in immagini cariche di angoscia, mostrando l’agonia dal punto di vista del testimone o del malato.
Attraverso figure evanescenti, rivoli di pittura e ombre allungate, il dolore non è soltanto raccontato, ma è come un’esperienza sensoriale che coinvolge anche lo spettatore. Tra le opere esposte: Sera. Malinconia (1891), Disperazione (1894), Lotta contro la morte (1915) e La morte nella stanza della malata (1893). È qui che è esposta la litografia de L’urlo (1895), in foto in alto a sinistra. Meno nota, ma altrettanto significativa, è l’influenza che l’Italia ha avuto su Munch, raccontata nella quarta sezione, Munch in Italia. Durante vari viaggi, tra il 1899 e il 1927, l’artista visita Firenze, Roma, Venezia e Milano, confrontandosi con la grande tradizione rinascimentale. Raffaello e Michelangelo diventano punti di riferimento per le sue grandi composizioni narrative, come il Fregio della vita. Tra le opere presenti in mostra, spiccano Ponte di Rialto, Venezia (1926) e La tomba di P.A. Munch a Roma (1927), omaggio allo zio, storico norvegese, sepolto al Cimitero Acattolico di Roma.

La natura come organismo vivente
Nella sezione L’universo invisibile emerge il pensiero cosmico dell’artista, influenzato dalla filosofia monista e dalle teorie scientifiche del suo tempo. Munch concepiva la Terra come un essere vivente dotato di coscienza e volontà, parte di un universo attraversato da forze invisibili. Mente e materia, corpo e ambiente si influenzano, legati da energie come la luce, l’elettromagnetismo e la crescita cellulare. In mostra Uomini che fanno il bagno (1913-1915), Onde (1908) e Il falciatore (1917).

Specchi dell’anima. Gli autoritratti di Munch
Una delle sezioni più suggestive è Di fronte allo specchio (Autoritratto), dedicata agli autoritratti di Munch (foto in basso). Lo specchio diventa per lui un mezzo per indagare l’espressione, la postura e la luce, ma soprattutto per raccontare il proprio vissuto interiore. Dal volto spettrale dei primi autoritratti fino al corpo segnato dalla vecchiaia, come in Autoritratto tra il letto e l’orologio (1940–43), a sinistra nella foto, Munch documenta con lucidità il corpo segnato dal tempo. In Il viandante notturno (1923–24), sbircia da un lato della composizione, appa-rendo come un insonne che vaga inquieto, mentre nel 1903 si ritrae nudo tra le fiamme dell’Inferno (Autoritratto all’inferno). Ogni autoritratto diventa così un confronto diretto con sé stesso.

L’eredità di un visionario
La mostra si conclude con L’eredità di Munch, un omaggio al suo impatto sull’arte del Novecento. In tutta la sua carriera Munch è stato un grande sperimentatore: pittura, incisione, fotografia (fu un antesignano dei selfie) e cinema sono stati per lui strumenti per dar vita a un linguaggio visivo personale, coerente ed evocativo. Dopo aver assimilato la tradizione rinascimentale e l’influenza del Postimpressionismo, Munch anticipa le Avanguardie del Novecento, come il simbolismo, l’espressionismo e il surrealismo, sviluppando una visione profondamente soggettiva e una libertà nel trattare spazio, forma e colore, che stende in campiture ampie e decise.
La sua arte ha aperto la strada a un’espressione più personale, emotiva e psicologica. Le sue composizioni si distinguono anche per la costruzione dello spazio non convenzionale, caratterizzato da prospettive irregolari, e per l’uso di elementi architettonici, come balaustre, viali o staccionate, che guidano lo sguardo dello spettatore dentro la scena, amplificandone il coinvolgimento emotivo. Un esempio di questo si trova in opere come Donna sui gradini della veranda (1942), Muro di casa al chiaro di luna (1922–24) e Le ragazze sul ponte (1927).

L’eco senza tempo di un grido interiore
Edvard Munch ha trasformato il dolore e l’interiorità in un linguaggio universale, un paesaggio da esplorare.
Il suo grido interiore continua a parlare e risuona tra le paure e incertezze del nostro presente, invitando a guardare dentro di sé. Ancora oggi, la sua opera offre uno spunto per comprendere l’animo umano, dimostrando come l’arte possa attraversare il tempo e le generazioni.

In esposizione, litografia de L’urlo (1895), Il Bacio (1897), in alto a destra; alcuni autoritratti, in basso.
(Foto fornite dall’Ufficio Stampa di Arthemisia)

Emanuela Teta
Da La Gazzetta della Capitale n. 5/2025