Cambio di destinazione, da cantina a residenziale dopo il Salva-Casa cosa cambia

Il Salva-Casa ha portato dei benefici nel campo edilizio e urbanistico? La risposta è prematura e incerta e la si potrà dare nei prossimi mesi, se la legge 105 del 24 luglio 2024 renderà più snelle le procedure che spesso si intasano per cavilli burocratici e incertezza nell’applicazione. Così spesso sono i giudici a cui si rivolgono i cittadini per trovare una soluzione al proprio problema ma che spesso non trovano. Ad esempio, un cambio destinazione d’uso da cantina a residenziale con opere, prima del Salva-Casa, come si configurava? Parliamo di un intervento di ristrutturazione edilizia assentibile solo con PDC (permesso di costruire) e, in sua assenza, passibile di demolizione: oggi con il Salva-Casa, in caso di mutamento con opere ‘minori’ e riferendosi alle norme locali, è possibile procedere con una semplice SCIA.
Come nel caso preso in esame, con la sentenza 6356/2024 del 15 luglio del Consiglio di Stato, che si è occupata del cambio di destinazione d’uso da cantina ad ambiente residenziale.

Da cantina a residenziale: le regole sul cambio destina-zione d’uso ‘prima’ del Salva-Casa
Il caso in esame trattasi di un intervento di cambio di destinazione d’uso da cantina ad abitazione di un locale al piano terra di circa mq 18,00 composto da un bagno con angolo cottura, privo di fornitura a gas. Il ricorso verteva sul fatto che l’angolo cottura, essendo facilmente rimovibile, non dimostrava il cambio di destinazione d’uso da cantina a residenziale: non era neppure attivo, perché non era collegato all’impianto a gas, come gli stessi agenti della Polizia municipale hanno potuto constatare nel corso del sopralluogo e come specificato nella trascrizione del conseguente verbale. E la sola realizzazione del bagno non giustificava il cambio di destinazione d’uso con opere.
Il Collegio, dunque, alla luce di tutto quanto nella sentenza si è sopra dedotto e illustrato, è dell’avviso che, nel caso di specie, emergano, anche dal verbale di sopralluogo redatto dalla Polizia municipale (il cui contenuto assume portata signi-ficativamente probatoria per la nota forza fidefacente di tale atto), evidenti indici rivelatori del mutamento di destinazione d’uso del locale in questione – pervero di ampiezza non trascurabile perché misurato in circa 18 mq – con opere, senza pre-via richiesta e rilascio del titolo abilitativo (che avrebbe dovuto essere il permesso di costruire, per quanto si è sopra normativamente ricostru-ito) da “cantina” a “residenziale”.
Sicché trattandosi di un intervento riconducibile ad una ristrutturazio-ne edilizia, esso (per quanto non abbia comportato un mutamento di sagoma esterna) ha determinato un mutamento di destinazione d’uso, da “cantina” a “residenziale” e quindi un aumento del carico insediativo, essendo il fabbricato preesistente di tipo rurale. Un simile intervento, quindi, avrebbe dovuto essere assentito con autonomo tito-lo edilizio, anche perché generava l’obbligo di corrispondere il costo di costruzione e gli oneri di urbanizzazione, che invece non risulta – dalla documentazione prodotta in giudizio – siano mai stati corrisposti, come non è stata presentata alcuna richiesta di sanatoria edilizia. Di conseguenza nessuna rilevanza ai fini della legittimità della sanzione ripristinatoria (con demolizione) può essere assegnata alla localizzazione dell’immobile all’esterno della zona omogenea “A” ai sensi del d.m. 1444/1968 e quindi del centro storico, circostanza peraltro puntualmente segnalata nel provvedimento impugnato e correttamente ritenuta non impeditiva all’adozione della sanzione demolitoria.
Dalle sopra espresse considerazioni il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado”.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 9015/2021), come indicato in epigrafe, lo respinge.”

Gerardo Teta
Da La Gazzetta della Capitale n. 10/202
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