Batterie con acqua e sale alla Cop 28. Progetti pilota per rispettare l’ambiente 

Non ancora decollano le auto con batterie al litio e già si pensa ad altre soluzioni 

Mentre c’è ancora chi pensa alle centrali nucleari, accantonati i motori endotermici, ormai il mercato dell’auto si sta spostando sull’elettrico e la sfida tecnologica si orienta sulle batterie al litio. Ma non solo. 
Infatti altre soluzioni per le batterie si stanno prospettando all’orizzonte.
E tra queste quelle con produzione ad acqua e sale.
Il progetto, denominato Aquabattery, realizzato dal Consorzio di imprese BAoBaB, tra cui Unipa, università di Palermo, nel 2020 ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea. Tecnicamente è una batteria a flusso acido-base (cioè con sostanze acide e basiche) incentrata sulla dissociazione dell’acqua, che è una reazione reversibile. 
Il concetto di funzionamento è questo: la batteria immagazzina l’elettricità sotto forma di energia chimica in soluzioni di acido, base e acqua salata, conservate in serbatoi separati.
Le pompe fanno circolare questi fluidi attraverso una pila elettrica con elettrodi separati da membrane; e le membrane consentono lo scambio di ioni tra gli elettroliti per generare elettricità. La potenza erogata dipende dalla superficie degli elettrodi, mentre la durata dell’accumulo dipende dal volume dell’elettrolita.
Quando c’è domanda di energia, la batteria a flusso si carica con l’elettricità prodotta dal sole e dal vento, convertendo il sale in due soluzioni chimiche (elettroliti) che possono essere riconvertite in acqua salata. 
Durante la fase di carica, la soluzione di acqua salata produce acido e base sotto l’azione di un campo elettrico. L’acido e la base vengono immagazzinati in serbatoi separati. 
Durante la fase di scarica, le soluzioni di acido e base fluiscono nuovamente per mescolarsi e formare nuovamente acqua salata. 
Questi processi generano elettricità. Riottenendo acqua salata il processo di carica può essere riavviato. Questa batteria Ldes (Long Duration Energy Storage), è pensata per spostare l’energia dalle ore di picco a quelle di bassa produzione e alleviare la congestione della rete (che in molti Paesi impedisce agli impianti eolici e solari di rilasciare l’energia prodotta) e per rinviare costosi investimenti nelle infrastrutture di rete. 
Con le attuali tecnologie, impianti simili, su larga scala, hanno una capacità temporale di immagazzinamento che va da una a quattro ore. 
Infine, per valutarne la sua fattibilità, sarà testata attraverso un progetto pilota che durerà dai sei ai dodici mesi realizzato a Delft, in Olanda. 
L’obiettivo è studiare la sua fattibilità anche commerciale, con la collaborazione della compagnia energetica Starkraft, annunciata durante la COP28 di fine novembre. 
Un’altra tecnologia in fase di sperimentazione, tutta italiana, è la batteria a sabbia, semplice e miracolosa. 
Ne parleremo nel prossimo numero. 

Gerardo Teta
Da La Gazzetta della Capitale n. 12/2023